Il workers-buy-out: quando i lavoratori diventano soci

Il workers-buy-out: quando i lavoratori diventano soci

Foto di Gerd Altman by Pixabay

La Pandemia ha prodotto effetti negativi su molte aziende. Le crisi aziendali si sono moltiplicate e molte multinazionali hanno deciso di chiudere i loro stabilimenti italiani e spostare la produzione all’estero. Una simile decisione ha gettato nello sconforto i lavoratori che potrebbero perdere il proprio posto di lavoro. I periodi negativi nella vita di un’impresa possono capitare e i motivi che ne stanno alla base possono essere molteplici (calo delle vendite, elevati costi di produzione, tecnologie fatiscenti, livello di indebitamento etc…); l’importante comunque è sempre rialzarsi. Quando le aziende attraversano fasi critiche, la parola che spesso ricorre nei pensieri di imprenditori e managers è riorganizzazione. La riorganizzazione può risiedere tanto nel cosciente raggiungimento da parte dell’impresa di una fase anagrafica, strategica o patrimoniale di “stallo” (per il cui superamento è necessario una modifica del suo assetto), quanto nel verificarsi involontario di eventi negativi. Questa seconda ipotesi interessa da vicino i lavoratori di tutte quelle aziende che hanno scelto la strada della delocalizzazione.

Cosa fare in questi casi? E se i lavoratori per mantenere il proprio posto di lavoro decidessero di investire nell’azienda diventando soci? In una simile circostanza lo scenario che si aprirebbe è quello di un cambio di proprietà da parte dell’impresa e la presenza di un investitore istituzionale (SGR, Fondi Comuni di Investimento, Banche d’Affari) che supporti finanziariamente il cambiamento dell’assetto proprietario, sostenendo il nuovo gruppo imprenditoriale nell’acquisizione dell’attività ceduta. Sotto il profilo terminologico, tale operazione prende il nome di employees o workers buy-out [1] (WBO). Si tratta, infatti, di un avvicendamento della compagine azionaria in cui i lavoratori (workers, appunto) si sostituiscono alla precedente proprietà e, supportati dall’intervento di investitori istituzionali (che assicurano le risorse finanziarie necessarie alla continuazione dell’azienda), acquisiscono quote azionarie dell’impresa investendo i propri beni personali; in questo modo i lavoratori mantengono il proprio posto di lavoro ed essendo diventati azionisti dell’impresa, si ritagliano una posizione di rilievo nelle decisioni strategiche. In altri termini, il destino dell’impresa è in mano ai lavoratori che devono fare tutto ciò che è in loro potere per rilanciare l’azienda. Sono i lavoratori (operai, impiegati, quadri, dirigenti) che prima erano legati alla proprietà da un contratto di lavoro di tipo subordinato, a diventare ora padroni del proprio destino. Ciascuno con le proprie competenze specifiche apporta il proprio contributo alla causa aziendale e contribuisce a mantenere in vita l’azienda. Chi crede nell’azienda e nei prodotti che essa realizza sarà certamente motivato a risollevarne le sorti e a predisporre piani di sviluppo nel lungo termine.

Molte altre aziende storiche italiane, potrebbero non solo sopravvivere, ma anche rilanciarsi nello scenario competitivo globale. Se davvero le aziende rischiano di chiudere i battenti, allora mi viene da chiedere a coloro che, negli anni, hanno guidato queste società ora in crisi, perché non scommettere in prima persona sulle sorti di queste realtà imprenditoriali diventandone soci? La risposta a questa domanda ce la darà il futuro ma ciò che mi preme dire è che se mi trovassi nei panni di uno dei lavoratori che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro, la decisione di ricorrere ad un’operazione di workers buy-out la prenderei seriamente in considerazione. Questo è il mio pensiero ma non è detto che sia l’unico a pensarla così. Chissà se qualcuno di loro ci avrà pensato?

Bibliografia:

Gervasoni, A., Sattin, F.L. (2006), “Private Equity e Venture Capital. Manuale di investimento nel capitale di rischio”, Guerini Studio, Milano.


[1] Tali operazioni vengono fatte rientrare nella macro-categorie dei buy out, all’interno della quale è possibile individuare differenti sottospecie, sulla base delle caratteristiche riscontrabili nella nuova proprietà. Nel caso di workers buy-out (WKO) si tratta di un’operazione di management buy-in (MBI) poiché è un gruppo manageriale interno all’azienda ad assumerne il controllo; se invece ad assumere il controllo dell’azienda è un gruppo manageriale esterno, si tratta di operazioni di management buy-out (MBO).

Difrancescobaldin

Mi chiamo Francesco Baldin, ho una Laurea Specialistica in Economia Aziendale e un Master in Business Administration. Ho esperienza in ambito Amministrazione, Finanza e Controllo e Acquisti. Da Aprile 2018 sono ideatore e amministratore di un blog professionale che ha come obiettivo la condivisione di articoli, opinioni ed esperienze in ambito economico-aziendale.

One thought on “Il workers-buy-out: quando i lavoratori diventano soci
  1. Potrebbe essere una soluzione interessante, è lo stesso principio che tiene in piedi certe cooperative o che fa sì che i lavoratori comprino azioni del gruppo per cui lavorano.

  2. E’ una soluzione intelligente quella di rilevare l’azienda in crisi. I lavoratori dovrebbero ricorrere a questo tipo di intervento magari appoggiandosi ad investitori professionali (mi viene in mente il private equity che nel mondo anglossasone funzione molto bene). E’ una valida alternativa alla cassa integrazione e alla disoccupazione.

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Dott. Francesco Baldin - Treviso - IT

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