Acquisizione di Risorse Umane e mercato del lavoro: aspetti critici
L’acquisizione delle risorse umane, pur essendo un processo critico costituisce solo una parte delle attribuzioni proprie del Dipartimento Risorse Umane: il processo di selezione e gli strumenti di trasformazione del lavoro (addestramento e formazione) e di attivazione dei flussi interni incidono sulle caratteristiche dello stock di risorse umane. E’ compito delle risorse umane considerare tanto la selezione in entrata, quanto quella interna e, laddove sia possibile e necessario, anche la selezione in uscita (inplacement e outplacement).
L’attività di reclutamento e selezione costituisce il momento più significativo del rapporto con il mercato esterno del lavoro e, in questo senso, tale attività va vista non solo dal lato della domanda, ma anche da quello dell’offerta. Tutte e due le prospettive vanno esaminate attentamente nelle scelte relative alla selezione. Come tutti i momenti di rapporto con il mercato, anche le fasi di reclutamento e selezione comportano costi di uso del mercato, che vanno rapportati ai relativi benefici. Dal lato della domanda, i costi di uso del mercato esterno nel processo di reclutamento e selezione riguardano:
a) i costi inerenti alla raccolta e diffusione di informazioni nel mercato del lavoro;
b) i costi specifici di reclutamento che saranno tanto più elevati quanto più ampi sono i segmenti del mercato del lavoro che si vogliono attivare e quanto più numerosi i candidati potenziali che si vogliono contattare;
c) i costi specifici di selezione, che variano in funzione del numero dei candidati esaminati e dei meccanismi di selezione. In altri termini, tanto più elevati quanto più aumenta il numero dei candidati esaminati e quanto più si affinano i meccanismi di selezione predisposti per cogliere le differenze qualitative tra i candidati, i costi di selezione aumenteranno significativamente;
d) costi per attivare i flussi in entrata e in uscita, costi retributivi differenziali e costi di tutte le politiche che favoriscono tali flussi che consentono in via prioritaria di realizzare un aggiustamento tra caratteristiche (mutevoli) domandate e caratteristiche (relativamente rigide) offerte;
e) costi di conflittualità, che hanno luogo quando i sindacati premono per un controllo del processo di reclutamento e selezione o, unitamente ad altri stakeholders, per un uso del mercato locale o del mercato interno del lavoro.
Per contro, sempre dal lato della domanda si hanno i seguenti benefici:
a) parte del costo di creazione delle caratteristiche professionali richieste (investimenti individuali; pubblici e di altre aziende in addestramento e formazione) e del relativo rischio di obsolescenza viene scaricato sul mercato del lavoro;
b) si mette in moto una certa concorrenza tra lavoratori, inducendo una certa fluidità anche nel mercato interno del lavoro;
c) si incrementa, per un dato periodo, l’adattabilità dello stock di personale a fronte di variabilità tecnologiche, organizzative e commerciali endogene ed esogene.
L’alternativa rappresentata da un uso preponderante del mercato interno del lavoro, limitando il ricorso a quello esterno alle sole posizioni più basse della scala gerarchico-professionale, presenta ugualmente costi e benefici. La scelta tra mercato esterno e quello interno è condizionata da una serie di fattori quali:
- Accordi di closed Shop, che di fatto affidano ai sindacati il potere di selezione[1];
- Normativa sulle pari opportunità di impiego e sulle così dette azioni positive che si stanno diffondendo in molti Paesi e che, avendo la finalità di evitare la discriminazione, limitano la possibilità di selezione;
- Normativa sul collocamento in Italia;
- Vincoli alla risoluzione del rapporto di lavoro che formalmente o informalmente sono presenti in vari Paesi e limitano il ricambio del personale basato su meccanismi di mercato.
Ove non sussistano questi vincoli, sono le stesse imprese che possono decidere se abbandonare l’uso diretto del mercato esterno. In una situazione di stabilità tendenziale del rapporto di lavoro e di ricorso più frequente al mercato interno del lavoro, le imprese possono perseguire i seguenti benefici:
a) limitare i costi di uso del mercato esterno, evitando il continuo ripetersi dei costi di selezione e di inserimento e il “disagio” organizzativo generato, soprattutto nelle fasi di stabilità e di sviluppo da elevati tassi di turnover;
b) assicurare maggiori opportunità di integrazione e identificazione ai lavoratori (clan);
c) ottenere un maggiore rendimento degli investimenti in formazione professionale e, quando questi sono legati a processi innovativi, realizzare veri e propri vantaggi concorrenziali rispetto alle altre imprese;
d) migliorare le relazioni con i sindacati, soprattutto quando la stabilità dell’impiego e il controllo dei flussi in entrata e in uscita rientrano tra gli obiettivi prioritari dei sindacati e tra le loro effettive possibilità di condizionamento.
A fronte di questi eventuali benefici, ci sono i seguenti costi certi:
a) rigidità dei meccanismi di amministrazione del mercato interno del lavoro, che richiede investimenti in strutture e in politiche di programmazione finalizzate a costruire le compatibilità tra le politiche del personale e le strategie d’impresa;
b) assunzione dei rischi di obsolescenza dello stock di risorse umane, che non si possono scaricare sul mercato del lavoro;
c) rigidità dei flussi di mobilità interna ed esterna, anche per quanto riguarda le categorie di personale che sarebbero convenientemente gestibili attraverso un più intenso rapporto con il mercato esterno del lavoro;
d) difficoltà nelle fasi depressive dei cicli economici o aziendali a causa del sovradimensionamento degli organici spesso associato alle rigidità del mercato interno del lavoro;
e) costi amministrativi legati alla gestione delle procedure di mobilità interna, di trasformazione del lavoro, di programmazione delle carriere, di controllo dei risultati ecc…
Conclusioni
Esaminando costi e benefici associati all’alternativa mercato interno/esterno del lavoro scaturisce un orientamento dell’impresa e degli stakeholders che incide profondamente sulle politiche di acquisizione (reclutamento e selezione). Essendo difficile ipotizzare un calcolo razionale e ottimizzante in un campo dove le variabili in gioco sono molte e complesse, è bene precisare che si tratta solo di un orientamento.
Bibliografia:
Costa, G. (2003), Economia e direzione delle risorse umane, UTET, Torino
[1] Il closed shop è una clausola secondo la quale l’iscrizione al sindacato rappresenta una condizione necessaria per il rapporto di lavoro.