Come si determina il costo complessivo di una commessa – prima parte

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Come si determina il costo complessivo di una commessa – prima parte

L’obiettivo finale della contabilità dei costi applicata alle commesse è la determinazione del costo complessivo della commessa, ovvero la somma dei singoli costi dei fattori produttivi utilizzati per realizzarla. Si tratta di determinare la configurazione di costo di commessa intesa come un’aggregazione di costi che assume diverse configurazioni a seconda degli scopi e delle informazioni che da essa si vogliono ottenere. Secondo questa logica si è soliti distinguere cinque diverse configurazioni:

  1. COSTO PRIMO;
  2. COSTO DI FABBRICAZIONE (O INDUSTRIALE);
  3. COSTO OPERATIVO;
  4. COSTO COMPLESSIVO;
  5. COSTO ECONOMICO-TECNICO.

Esaminiamole nel dettaglio. Cominciamo con il COSTO PRIMO

  1. COSTO PRIMO: comprende esclusivamente i COSTI DIRETTI sostenuti per la produzione (materie prime, manodopera diretta, ogni altro costo diretto inerente la fabbricazione[1]). Attraverso tale configurazione si possono isolare i soli costi diretti, ossia quelli che, in assenza di quella specifica produzione, potrebbero venire meno. Correlare direttamente costi e risultati permette di trarre valide indicazioni in merito all’efficienza legata all’uso di detti fattori.
  2. COSTO DI FABBRICAZIONE (O INDUSTRIALE): tale configurazione si ottiene sommando il COSTO PRIMO a tutti i COSTI INDIRETTI relativi alla sola fase produttiva (ammortamenti, spese di manutenzione) o accessori ad essa (spese di sorveglianza, spese di assicurazione della struttura produttiva). Tale configurazione serve a determinare la misura complessiva degli sforzi compiuti dall’azienda per realizzare un dato prodotto. Detto in altri termini, tale configurazione serve a determinare l’ammontare della ricchezza trasferita dal patrimonio aziendale (destinato ad alimentare il ciclo produttivo) al singolo prodotto, permettendo di stimare la convenienza a realizzare, mantenere o dismettere determinate produzioni. Tale configurazione è la più indicata per determinare il valore delle rimanenze di magazzino[2].
  3. COSTO OPERATIVO: si compone unendo al costo di fabbricazione tutti gli altri costi di natura operativa riguardanti lo svolgimento delle funzioni aziendali (commercializzazione, ricerca, progettazione, controllo qualità, etc…) e alla gestione dell’azienda sotto il profilo amministrativo e legale. Tale configurazione serve a determinare l’ammontare dei costi operativi che sono stati assorbiti dai diversi prodotti e potrebbe assolvere una funzione informativa simile a quella del margine di contribuzione, dal momento che ad essa verranno poi sommate importanti voci di costo come gli oneri finanziari e le imposte. Inoltre si potrebbe inserire in questa configurazione una particolare categoria di componenti di reddito, denominata COSTI PERSI, che racchiude quei costi che sembrano diretti rispetto ad un dato oggetto anziché ad un altro, ma che, in realtà, corrispondono ad un fattore produttivo che non è stato utilizzato da nessuno, pertanto questi costi non possono essere attribuiti a nessun oggetto in particolare, perché se così fosse, falserebbero il risultato dell’imputazione e conseguentemente anche la loro interpretazione[3]
  4. COSTO COMPLESSIVO: si ottiene dalla somma tra il costo operativo e tutti gli altri costi, ossia quelli di natura extra-caratteristica indipendentemente se siano diretti o indiretti. Tra i costi extra-caratteristici troviamo gli oneri finanziari, le spese relative alla gestione del patrimonio non strumentale e le imposte sul reddito. Questa configurazione chiamata anche COSTO PIENO, comprende tutti gli oneri sopportati dall’azienda per ottenere il proprio prodotto, a prescindere dall’area gestionale a cui appartengono. E’ estremamente utile per determinare il il c.d PREZZO DI “PAREGGIO”, ossia quel prezzo sufficiente a coprire il costo dei fattori produttivi impiegati e rappresenta, in una trattativa al ribasso, la soglia minima al di sotto della quale non appare economico scendere.
  5. COSTO ECONOMICO-TECNICO: è dato dalla somma del costo complessivo e degli oneri figurativi, ossia quei compensi che non vengono erogati in contropartita della disponibilità di un fattore produttivo, oppure che non costituiscono un obbligo per l’azienda. Si tratta di oneri che, a determinate condizioni, l’impresa potrebbe sostenere. Si pensi, ad esempio, agli interessi figurativi, ossia relativi a finanziamenti ricevuti e per i quali non è stato chiesto nessun interesse oppure ai fitti figurativi relativi all’utilizzo di beni (prevalentemente immobili) di proprietà dell’azienda che essa pagherebbe se dovesse locarli da terzi. Calcolare questi costi fittizi è utile per riprodurre condizioni analoghe a quelle che si incontrerebbero in assenza di simili benefici. L’obiettivo è quello di determinare un prezzo confrontabile con quello di altre imprese per vedere se, indipendentemente dai prezzi praticati, si opera nelle stesse condizioni di efficienza riscontrabili in altre realtà produttive. Alla seconda categoria di oneri figurativi appartiene il profitto imprenditoriale il cui inserimento in questa figura di costo serve principalmente a determinare il prezzo di vendita che consente di operare in condizioni di equilibrio economico. Si tratta del prezzo che permette di assicurare la remunerazione di tutti i fattori produttivi utilizzati, legati da vincoli contrattuali (FORNITORI E FINANZIATORI) che patrimoniali (I PORTATORI DI CAPITALE PROPRIO). In merito al rapporto tra il costo complessivo e quello economico-tecnico, la loro differenza rappresenta il MARGINE sul quale l’azienda può agire nel contesto di una politica di abbattimento dei prezzi; in sostanza segnala la misura del limite minimo al di sotto del quale non viene garantita la copertura di tutti i costi contrattualmente stabiliti e, nel contempo, indica il limite superiore oltre il quale l’impresa realizza dei sovra-profitti.

CONCLUSIONI

Le cinque configurazioni di costo rappresentano, nella pratica, quelle maggiormente utilizzate, tuttavia, ciascun analista ne può creare di nuove purchè finalizzate a soddisfare i propri bisogni informativi. La scelta di una o l’altra configurazione di costo non deve dipendere dall’adesione a qualche schema già confezionato, ma deve essere tagliata sulle esigenze informative che si vogliono trarre dal calcolo del costo di prodotto.

Bibliografia:


Manca, F. (2016) “Controllo di gestione nelle aziende che producono su commessa”, Wolters Kluwer, Milano.

[1] Trattasi per lo più di costi variabili ma si possono trovare importi rilevanti di costi fissi (ad es. determinati macchinari che vengono usati per una sola commessa).

[2] Spesso le difficoltà dei costi indiretti industriali obbligano ad effettuare valutazioni più prudenti in cui si computano, oltre ai costi diretti le quote di quelli indiretti determinabili con un buon grado di approssimazione (si veda il principio della ragionevole certezza nel c.c.)

[3] Si pensi ad un macchinario che viene utilizzato da più commesse ed attribuito loro in relazione ai giorni in cui ciascuna di esse lo ha impiegato. Se, per ipotesi, quel macchinario rimanesse inoperoso presso il luogo di esecuzione di una delle commesse, in teoria dovrebbe esserle assegnato in quanto risultava lì per quel periodo di tempo, ma ciò provocherebbe un’errata attribuzione, dal momento che quel bene non è stato, di fatto, utilizzato. La questione si risolve non imputando a nessuna commessa quel macchinario, il cui costo di definisce, pertanto un costo perso.

Difrancescobaldin

Mi chiamo Francesco Baldin, ho una Laurea Specialistica in Economia Aziendale e un Master in Business Administration. Ho esperienza in ambito Amministrazione, Finanza e Controllo e Acquisti. Da Aprile 2018 sono ideatore e amministratore di un blog professionale che ha come obiettivo la condivisione di articoli, opinioni ed esperienze in ambito economico-aziendale.

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Dott. Francesco Baldin - Treviso - IT

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